Fare open innovation in una grande impresa?

Fare open innovation in una grande impresa? Si può e si deve fare, ma il percorso di trasformazione deve partire (con convinzione) dall’interno

 

Un percorso di crescita e innovazione funziona solo se costruito un passo alla volta: convinzione dei vertici dell’azienda, costruzione di un team interno che sappia promuovere il cambiamento, apertura verso talenti esterni. Fatto questo si lavora poi solo per la crescita del gruppo.

 

È impossibile fare innovazione senza una solida cultura aziendale orientata al cambiamento. E non esiste cultura aziendale senza il coinvolgimento delle persone, senza renderle partecipi del cambiamento che si vuole produrre. Una sfida che, nella mia esperienza, è duplice: da un lato c’è il bisogno di crescere e sperimentare nuovi modelli per non essere superati dai competitor; dall’altro c’è l’imperativo di convincere tutta la popolazione aziendale, dal più giovane fino all’amministratore delegato, di quanto l’innovazione sia parte integrante del processo industriale. L’innovazione non può permettersi di essere fine a sé stessa: deve essere centrale per il futuro dell’azienda. Sia che diventi disruptive, sia che le permetta di cogliere vantaggi a medio-lungo termine.

 

Ci sono diversi modi per portare l’innovazione all’interno di una grande azienda e tutti possono rivelarsi efficaci e proficui, ma una cosa è fondamentale: il commitment delle key people, dei vertici del gruppo. Senza questo supporto, è praticamente impossibile ottenere risultati concreti, costruire dei processi interni e soprattutto una cultura aziendale in grado di far digerire qualche fallimento, che – non bisogna dimenticarlo – fa parte dell’innovazione stessa.

 

 Dal top-down al team 

Per noi di Sapio la strada giusta non è stata la costruzione di un team dedicato a tempo pieno all’innovazione, ma piuttosto la creazione di una squadra trasversale. L’obiettivo di questa scelta era assicurare alle persone impegnate nei processi trasformativi le competenze necessarie e le sensibilità di chi, quotidianamente, si interfaccia con lo sviluppo del prodotto e con la sua commercializzazione: dall’esperto di sanità a quello del settore industriale fino al digital manager. Questa scelta per noi si è rivelata vincente. Come, anche, affiancare a questo team “liquido” un innovation board all’interno del quale sedessero manager c-level e perfino azionisti.

 

Un doppio, chiaro, segnale. Primo: l’innovazione non può e non deve essere avulsa dal processo industriale. Secondo:i responsabili dei progetti di innovazione sono al di sopra di tutte le altre divisioni, in modo trasversale, a dimostrazione della sua primaria importanza. Nel nostro caso la missione è stata chiara fin dal primo momento: posizionarsi su nuovi mercati, quelli fuori dai radar del marketing, ma dai quali si potrebbe trarre valore; oppure quelli non direttamente collegati al core business dell’azienda, ma con un interessante potenziale di sviluppo in prospettiva.

 

Innovare, per ogni impresa, significa contaminarsi

In questo senso l’open innovation è il punto di caduta perfetto. Per aprirsi all’esterno, però, bisogna essere solidi sul fronte dell’innovazione e soprattutto della cultura aziendale. Puntare sullo sviluppo di idee interne può essere una grande palestra per trovare la propria strada. Ed è quello che abbiamo fatto in Sapio. Lavorare internamente ci ha insegnato una delle principali regole dell’innovazione: accettare gli errori e imparare da questi. Per esempio, abbiamo capito che non è possibile né proficuo valutare le idee innovative attraverso le metriche del business tradizionale. Da questa consapevolezza è nato il Sapiothon, una call for ideas aperta a tutta la popolazione aziendale orientata a identificare idee e soluzioni potenzialmente veicolabili sul mercato.

 

La contaminazione scatenata dal percorso per selezionare le idee, svilupparle e poi scegliere quella a più alto potenziale è stata così forte da essere essa stessa un fattore di successo. Da quel processo, infatti, sono nate altre idee grazie anche al coinvolgimento di tutte le persone all’interno dell’azienda. E questa strada ci ha portato a ricercare nuovi progetti da testare, validare, attraverso un secondo Sapiothon, che abbiamo realizzato con Cariplo Factory.

 

In questa occasione abbiamo fatto uno step in più, che è attualmente in corso di svolgimento. Abbiamo cercato di fare diventare questa idea una vera e propria startup, una nuova azienda da lanciare sul mercato, forte ovviamente del suo modello di business innovativo e delle sinergie con il nostro gruppo in grado di assicurare competenze specifiche e una serie di operations in grado agevolare e velocizzare il time to market. Non sappiamo ancora i risultati di questa iniziativa, ma fin da adesso posso dire che fare una startup ci ha permesso di avere una migliore conoscenza delle logiche e dei bisogni che muovono queste realtà innovative.

E grazie a tutto questo potrebbero essere maturi i tempi per Sapio per affacciarsi al Corporate Venture Capital. Ma questa è un’altra storia…

 

 

Fabrizio Salvucci
Chief Innovation Manager di Sapio Group